martedì 13 agosto 2019

Il disseccamento del Mediterraneo alla fine del Miocene - Contiene Video


Il disseccamento del Mediterraneo alla fine del Miocene
di Maria Bianca Cita Università di Milano

Il piano Messiniano rappresenta un periodo di tempo molto breve nella scala geologica (meno di due milioni di anni) nella parte terminale del Miocene, durante il quale la regione Mediterranea fu soggetta a cambiamenti paleogeografici drastici, ma effimeri. Rimasto isolato dall'Atlantico, il Mediterraneo si disseccò quasi completamente. Il volume di evaporiti deposte sul suo fondo e successivamente seppellite da centinaia di metri di sedimenti pelagici ed emipelagici deposti negli ultimi cinque milioni di anni, è di circa 1 milione di km3.

Le premesse della crisi di salinità del Miocene terminale vanno ricercate indietro nel tempo quando la Tetide, l'antica via d'acqua ad andamento equatoriale che separava i continenti boreali da quelli australi, venne distrutta in gran parte dall'orogenesi alpina.
Dei vari bacini nei quali si articola il Mediterraneo, solo quello orientale è ritenuto ciò che rimane della Tetide mesozoica, mentre il Bacino Balearico, quello Tirrenico e il Mare Egeo si formarono durante il Neogene, dopo l'orogenesi alpina, in momenti diversi e con modalità diverse.
La rotazione in senso antiorario della zolla africana portò come conseguenza anche l'interruzione delle comunicazioni che il Mediterraneo aveva sempre avuto con l'Oceano Indiano. Questa interruzione, documentata dalla migrazione delle faune a Proboscidati dall'Africa verso l'Asia e l'Europa avvenne nel Burdigaliano, circa 18 m.a. fa.

Occlusa la Tetide occidentale, separato dall'Oceano Indiano, il Mediterraneo rimase un enorme golfo tributario dell'Atlantico, lungo oltre 3000 km da W a E, articolato e profondo, ma privo di una efficace circolazione termoalina, a causa degli scambi piuttosto limitati con masse d'acqua atlantiche. Questi scambi si sarebbero realizzati attraverso soglie poco profonde situate a N della catena betica nel sud della Spagna, e a S della catena del Rif, in Marocco.

Le perforazioni effettuate a scopo scientifico nel Mediterraneo in diverse riprese dal 1970 al 1995 portarono argomenti essenziali per formulare il modello del disseccamento.
La prima campagna di perforazioni della GLOMAR CHALLENGER nel Mediterraneo compiuta nel 1970 portò alla inaspettata scoperta che si possono trovare delle evaporiti nel mare profondo.
Le evaporiti carotate sotto i piani abissali del Mediterraneo occidentale comprendono facies caratteristiche degli ambienti subtidale, intertidale e perfino supratidale.
Il cosiddetto modello del disseccamento di un bacino profondo per spiegare l'origine dell'Evaporite Mediterranea che permea il volume relativo a quella spedizione era in realtà condiviso solo da tre scienziati di bordo, compresi i due cochief scientists.

Partendo da diverse linee di evidenza e con il loro background fortemente differenziato, i tre scienziati arrivarono alla conclusione che il Mediterraneo era profondo prima che si sviluppassero condizioni evaporitiche, che era basso durante la crisi di salinità, ma che era di nuovo profondo immediatamente dopo la fine delle condizioni evaporitiche (trasgressione pliocenica).
Ecco come avrebbe potuto apparire il Mediterraneo durante la crisi di salinità: un bacino chiuso, contornato da catene collisionali, in ambiente arido, soggetto a forte evaporazione, ove avveniva la deposizione di sali per evaporazione di acqua marina.

L'argomento sedimentario indicativo di condizioni di mare basso durante la deposizione delle evaporiti era ovvio, e fu accettato immediatamente. Infatti le facies stromatolitiche e nodulari delle anidriti perforate al fondo del bacino Balearico e di quello Tirrenico non lascianodubbi sulla natura tidale della sedimentazione evaporitica. Il termine "tidale" ha un significato del tutto speciale in questo contesto, poichè le brine saline al fondo di bacini totalmente isolati dagli oceani non erano soggette a escursioni di marea. Le escursioni delle linee di costa, documentate dall'estensione delle facies tidali, erano il risultato di cambiamenti locali del bilancio idrologico (rapporto evaporazione/precipitazione, afflusso fluviale e afflusso oceanico). D'altra parte gli argomenti geofisico e paleontologico indicavano condizioni di mare profondo per le unità litologiche precedenti (sottostanti) la deposizione delle evaporiti, e in quelle successive (soprastanti).


L'argomento geofisico è indiretto, ma molto forte: esso di basa sulla geometria dei corpi evaporitici, che mostrano grandi spessori sotto i piani abissali, si assottigliano verso i margini dei bacini e si chiudono alla base delle scarpate.
Nei casi in cui le scarpate sono morfologicamente ben definite, come per esempio nella Scarpata di Malta, la chiusura delle evaporiti è chiaramente espressa nei profili sismici a riflessione.
Ciò prova che i bacini esistevano come tali quando si deponevano le evaporiti. In altre parole, la morfologia dei bacini precedeva la crisi di salinità, e ne era indipendente.

L'argomento paleontologico, a differenza di quello geofisico, è induttivo. Esso si fonda sul fatto che i sedimenti pliocenici più antichi, riferiti alla zona di acme a Sphaeroidinellopsis presentano diversi caratteri che sono esclusivi di depositi profondi, di mare aperto. Essi sono essenzialmente biogenici, e sono costituiti da resti di organismi planctonici a guscio calcareo (foraminiferi, coccolitoforidi). Il rapporto plancton/benthos è molto alto, e le poche forme batiali hanno un habitat decisamente profondo, dell'ordine del migliaio di metri o più.

La seconda campagna di perforazioni compiuta dalla GLOMAR CHALLENGER in Mediterraneo nel 1975 ha fornito nuovi dati e argomenti in favore del modello interpretativo originario. Tutte le facies evaporitiche trovate nel 1970 sono state riconosciute anche in altri bacini. Le facies più solubili (salgemma, sali potassici) ritrovate precedentemente solo nel Bacino Balearico, sono state identificate anche nel Bacino Ionico e in quello Levantino.
Le nuove perforazioni hanno confermato la natura profonda dei sedimenti del Pliocene basale in tutti i sei pozzi che hanno recuperato evaporiti del Messiniano.
Ma la scoperta più importante della seconda campagna di perforazione è la natura profonda dei sedimenti preevaporitici.
Nei due pozzi che - dopo aver attraversato il Messiniano - sono penetrati in terreni più antichi, questi avevano facies batiale sia nel Bacino Balearico (SITO 372) che nel bacino Levantino (SITO 375). Questo argomento fu considerato così forte dagli scienziati di bordo, che quasi tutti alla fine (dieci su dodici) condivisero una opinione comune sulla storia della crisi di salinità.

La terza campagna di perforazioni profonde in Mediterraneo, svoltasi all'inizio del 1986 con la nuova nave JOIDES RESOLUTION ha portato nuovi dati riguardanti l'area Tirrenica. Il Messiniano in facies evaporitica è stato trovato soltanto nel settore occidentale, dove era già noto dal 1970. Forti spessori di sedimenti terrigeni non fossiliferi e contenenti scarsi noduli di gesso sono stati trovati nella piana abissale su crosta continentale. Tutto il Tirreno sudorientale è risultato essere privo di sedimenti messiniani, essendosi formato in epoca più recente.
Infine le ultime campagne di perforazione effettuate nel 1995 nel Mediterraneo orientale e in quello occidentale hanno dimostrato al di là di ogni dubbio che:
a) il Bacino di Alboran è privo di evaporiti;
b) l'invasione pliocenica ha la stessa età (5.33 milioni di anni) in tutto il Mediterraneo da un estremo all'altro.

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