giovedì 25 gennaio 2018

Libro: Le forme del rilievo. Atlante illustrato di geomorfologia


Questo atlante, rivolto soprattutto agli studenti di scienze geologiche, scienze naturali e scienze ambientali, vuole essere un supporto iconografico ampio e dettagliato, in lingua italiana, da affiancare ai testi classici di Geomorfologia nello studio approfondito di questa disciplina. In circa mille immagini fotografiche, schemi e illustrazioni, vengono presentate le principali forme del rilievo terrestre, classificate in funzione degli agenti e dei processi geomorfici che le hanno generate. Le fotografie sono state selezionate in modo da essere al contempo significative dal punto di vista scientifico e di impatto immediato dal punto di vista estetico. I testi che accompagnano le immagini, seppure puntuali e rigorosi per il loro contenuto scientifico, sono volutamente sintetici e semplificati al massimo in modo da poter essere intesi senza difficoltà anche da un'utenza più ampia di non specialisti.

martedì 23 gennaio 2018

Libro: Vulcani d'Italia

La vista di una colata di lava che scorre come un denso fiume incandescente è uno degli spettacoli più affascinanti e impressionanti offerti dalla natura. Chiunque vi assista, inevitabilmente, si chiede da dove venga, come si formi e per quanto tempo continuerà a risalire da sotto terra questo materiale così insolito, pericoloso e bello nello stesso tempo. L’attività vulcanica suscita da sempre un misto di terrore e di irresistibile fascino e, nel corso dei secoli, molti si sono cimentati nel descrivere le sensazioni suscitate dalle eruzioni vulcaniche. Nel 1877, Renato Fucini, osservando il Vesuvio in attività, riassumeva buona parte di queste sensazioni, scrivendo «...Non v’è sguardo umano, io credo, in questa regione che la sera si chiuda senza aver guardato la cima della montagna. (…) Il dotto la osserva per misurare la sua piccolezza di fronte ai grandi misteri della natura; l’ignorante vi posa volentieri lo sguardo, perché tanta bellezza è accessibile anche alle menti più ottuse». Questo libro dedicato ai vulcani d’Italia cerca di riassumere almeno in parte il grandioso sforzo di conoscenza realizzato dalla comunità vulcanologica italiana in questi anni di proficuo lavoro. Gli Autori hanno cercato di riassumere per ciascun vulcano il patrimonio di conoscenze sulla struttura ed evoluzione vulcanologica, così come il contesto storico e sociale cresciuto attorno al vulcano. Non si tratta solo dei vulcani attivi o quiescenti, ma si presentano tutti i vulcani che hanno dispiegato la loro attività in un periodo geologico recente. L’opera, unica nel suo genere, è utile non solo per gli studiosi della materia, ma soprattutto per quanti, curiosi della natura, vogliano meglio conoscere il territorio in cui si trovano.

Ospiti caldi e freddi del Mediterraneo

Strombus bubonius
Arctica islandica


Distribuzione attuale semplificata dei molluschi che si ritrovano fossili nei depositi pleistocenici del Mar Mediterraneo.
Azzurro = Arctica islandica , Panopea norvegica , Mya truncata e Neptunea contraria ("ospiti freddi" del Mediterraneo)
Arancione = Strombus bubonius , Conus testudinarius , Brachidontes senegalensis ("ospiti caldi" del Mediterraneo)

Durante il Pleistocene (iniziato circa 1.800.000 anni fa e terminato 10.000 anni fa) lunghi periodi freddi, alternati a brevi periodi caldi, si sono ripetuti più volte interessando soprattutto l'emisfero settentrionale.

I periodi freddi, detti glaciazioni, erano caratterizzati da una marcata diminuzione della temperatura, che causò l'estendersi dei ghiacciai, delle calotte polari e il conseguente abbassamento del livello marino, favorendo così

 l'emersione di ampie fasce costiere. Le temperature medie annuali erano inferiori di 10°-15°C rispetto a quelle attuali.

Nei periodi caldi, chiamati interglaciali, l'innalzamento della temperatura determinò lo scioglimento di parte delle masse glaciali e l'aumento del livello del mare disegnò linee di costa più alte di quelle attuali.

Conseguentemente a questi cambiamenti climatici, le flore e le faune marine e continentali più sensibili alle variazioni di temperatura, si spostarono seguendo le avanzate e le regressioni glaciali e i fossili che oggi troviamo, ci danno precise indicazioni sui diversi climi succedutisi.

I molluschi fossili qui esposti, provenienti da depositi marini del Pleistocene italiano, sono chiari esempi di "fossili climatici" e significative testimonianze di queste migrazioni.

Infatti nei periodi glaciali sono arrivati nel Mediterraneo gli "ospiti freddi", quali Arctica islandica, Panopea norvegica, Mya truncata e Neptunea contraria , che attualmente vivono lungo le coste del Mare Baltico e dell'Oceano Atlantico settentrionale. 

Invece nell'ultimo interglaciale, durante il quale la temperatura media annuale era più alta di quella odierna, sono arrivati dalle coste atlantiche africane gli "ospiti caldi" come Strombus bubonius, Conus testudinarius, Brachidontes senegalensis e altre specie, che attualmente vivono nelle coste tropicali del Senegal.



lunedì 22 gennaio 2018

Latimeria - Celacanto - Contiene Video


Latimeria Smith, 1939 è l'unico genere esistente della famiglia dei Latimeriidi; ad esso appartiene il celebre Celacanto (dal greco coilia (κοιλιά), "vuoto", e acanthos (ἄκανθος), "spina"). Quest'ultimo è un rappresentante della più antica linea evolutiva di pesci che si conosca.

Si pensava che i celacanti fossero estinti sin dal Cretaceo, fino a quando un esemplare venne pescato nel 1938 in Sudafrica, nell'Oceano Indiano all'altezza della foce del fiume Chalumna. In seguito furono trovati altri esemplari nelle isole Comore, Sulawesi, in Indonesia, Kenya, Tanzania, Mozambico, Madagascar e in Sudafrica, nell'area protetta iSimangaliso Wetland.
 

Il celacanto fa parte della classe dei Sarcopterigi; secondo i fossili ritrovati, i celacanti apparvero per la prima volta nel Devoniano medio, circa 390 milioni di anni fa. In media un celacanto raggiunge gli 80 kg, una lunghezza di due metri e una aspettativa di vita di 60 anni circa.

Gli occhi del celacanto sono estremamente sensibili alla luce, grazie alla presenza del tapetum lucidum, una membrana riflettente posta dietro alla retina che riflette nuovamente la luce catturata alla retina; per questo motivo è molto difficile catturare un celacanto di giorno o in una notte di luna piena.
Latimeria possiede pinne pari su peduncoli muscolosi dette omobasiche, ovvero sostenute da un solo asse osseo, anatomicamente omologo dell'omero e del femore dei tetrapodi. Queste pinne sono utilizzate prevalentemente per nuotare in acqua aperta piuttosto che per camminare sul fondale.


Sebbene oggi siano conosciute solo due specie di celacanti, nel Paleozoico e nel Mesozoico il gruppo dei celacantidi era molto numeroso e comprendeva diversi generi e specie; di questi esistono molti fossili databili dal Devoniano al Cretaceo, periodo dopo il quale i celacanti apparentemente si ritennero estinti, a seguito della estinzione di massa di fine cretacico dato che fino ad oggi non sono stati ritrovati fossili risalenti ad epoche successive.

La comparazione anatomica fra i resti fossili di pesci appartenenti ai Coelacanthiformes, lo stesso ordine del celacanto (soprattutto con i fossili del genere Macropoma del Cretaceo), e gli esemplari viventi attuali mostra chiaramente come questo ordine sia rimasto sostanzialmente invariato almeno negli ultimi 65 milioni di anni secondo una parte dei paleontologi o 300-400 milioni di anni secondo altri causando inizialmente un certo stupore fra gli studiosi, poiché il celacanto era ritenuto un progenitore degli anfibi, associato ad ambienti di acque poco profonde e progressivamente evolutosi fino a diventare adatto alla vita sulla terra ferma. Al contrario i ritrovamenti di forme viventi nel corso del XX secolo indicano che il celacanto odierno vive prevalentemente in acque profonde, dove non giunge alcuna traccia di luminosità .

Questa apparente contraddizione è tuttavia facilmente spiegabile con due osservazioni:
  • la latimeria non vive solamente in acque profonde, fatto provato dalla scarsa profondità di pescaggio delle reti con cui i pescatori locali con cui viene pescato dagli ormai noti incontri di subacquei con esemplari viventi e sia con l'osservazione statistica, che il biologo P.L. Florey riporta nel suo trattato su questo pesce, che la maggior parte delle catture sono avvenute tra una profondità di 100 e 400 metri, mentre il maggior numero di avvistamenti visivi durante immersioni è avvenuto fra 190 e 210 metri, inoltre le sue osservazioni sembrano indicare che le oscillazioni batimetriche della isoterma di 18 °C possano influenzare la profondità di vita dell'animale
  • nella crisi di fine cretaceo i celacanti si estinsero completamente nelle forme viventi in acque basse, costiere o dolci. Tuttavia gli animali che vivono in acque profonde sono molto difficilmente conservati allo stato fossile e raramente i loro resti fossili sono portati ad affiorare alla superficie terrestre dove i paleontologi possono scoprirli, cosicché può accadere che le specie di profondità scompaiano nella documentazione fossile. Inoltre l'etichetta di animale che non si evolse fisiologicamente dai tempi paleozoici, vulgata popolarmente appiccicata a questo phylum, non è corretta: gli sviluppi della ricerca paleontologica, nei decenni successivi alla scoperta della forma vivente e della formazione delle prime congetture, ha permesso di comprendere che le forme paleozoiche si evolsero e si irradiarono in diversi phylum, con un massimo di radiazione evolutiva nel Triassico, e i fossili di Macropora, l'ultimo genere più recente conosciuto allo stato fossile sono rinvenuti nei sedimenti del Cretaceo superiore del bacino anglo-parigino nella formazione calcarea del "chalk" ,per la quale l'ambiente marino deposizionale dovrebbe aver avuto una profondità fra 100 e 600 metri di profondità, quindi già le ultime forme fossili, di cui fino ad oggi si ha conoscenza, vivevano in un habitat simile alle forme attuali.
Testo tratto da: Wikipedia
Foto: Google immagini

    Smilodon - Tigre dai denti a sciabola

    Ricostruzione dello Smilodon nel film l'Era Glaciale.
    Smilodon è il genere più noto delle cosiddette tigri dai denti a sciabola, grandi felini dai lunghissimi canini superiori, caratteristici del periodo che va dal Miocene al Pleistocene.
    Nome: Smilodon, che significa dente a coltello (dal greco σμίλη "coltello" e ὀδών "dente")
    Misure:
    Smilodon gracilis lungo circa 1.8 m per 90 – 100 kg.
    Smilodon fatalis lungo almeno 2 m con punte di 2,3 e altezza al garrese 1,2 m, peso (stimato) da 200 a 300 kg.
    Smilodn populator poteva raggiungere e superare i 450 kg, con media sui 300–400 kg per i maschi, altezza al garrese 1,45 m, lunghezza 2,6–3 m, anche più in esemplari più grandi.
    Dimensioni dello Smilodon rispetto all'uomo
    Quest'ultima specie era probabilmente il più grande felide di tutti i tempi, anche se la sua taglia può essere eguagliata ai giorni nostri dal ligre, che tuttavia non è una specie a sé stante ma un ibrido.
    Alimentazione: carne e carcasse, Epoca e ambiente: da 5 milioni a 10.000 anni fa, fino al tardo Pleistocene, nel Sudamerica e nel Nord America.
    Ricostruzione museale di Smilodon
    Lo smilodonte, vissuto nel Pleistocene, è noto soprattutto per numerosissimi scheletri completi ritrovati nella località di Rancho La Brea, in pieno centro di Los Angeles. Qui, enormi pozze di bitume da migliaia di anni intrappolano animali di tutti i tipi, restituendo solo le ossa fossili. Lo smilodonte nordamericano (Smilodon fatalis) era piuttosto simile a un leone come corporatura, ma aveva la coda corta e, naturalmente, il cranio era munito dei due grossi canini. Un'altra specie (S.populator) migrò in Sudamerica, nello stesso periodo. Questa forma era più robusta, con arti anteriori maggiormente sviluppati e con canini ancora più lunghi. 
    Lo smilodonte era sicuramente il non plus ultra della catena alimentare della sua epoca. Cacciava tutti i grandi animali dell'epoca, compresi i mammuth, e alcuni studiosi pensano che attaccasse di solito in branco. Da una ricerca si evince che avesse una potenza del morso 1/3 di quella del leone attuale ma ciò è materia di discussioni. Il debole (forse) morso può essere spiegato dal fatto che i suoi canini (lunghi 15 e anche 20 cm) rompevano e dissanguavano una preda facilmente; il leone attuale, raggiungendo le sue zanne la lunghezza massima di 7 cm, deve uccidere per soffocamento e ha bisogno di una pressione molto superiore. Infine test dimostrano che le zanne dello Smilodonte, nonostante sembri il contrario, erano molto resistenti alla rottura, più di quelle della tigre e del leone, che pure sono corte e massicce."

    domenica 14 gennaio 2018

    Libro: L'indagine geotecnica di sito di Luigi Esposito


    Le recenti calamità che hanno colpito il nostro paese - l'alluvione in Liguria e gli eventi sismici dell'Emilia - dimostrano che per difendersi in maniera efficace da questi eventi è necessaria una prevenzione basata su indagini, condotte con cura e volte ad accertare sia le condizioni del sottosuolo sia le caratteristiche delle strutture che poggiano su di esso. Il testo vuole essere uno strumento di rapida consultazione per i progettisti di opere civili e industriali, e descrivere in maniera sufficientemente chiara le caratteristiche dei vari tipi d'indagine, indicando anche i parametri che da essi si possono ricavare.
    Link Amazon

    sabato 13 gennaio 2018

    Uluru - Ayers Rock


    Uluru, NT - One of Australia’s most recognised landmarks, Uluru is composed of a coarse-grained arkose, a type of sandstone rich in feldspars. It has been exposed as a result of the folding, faulting and subsequent erosion of the surrounding rock. Rising 348 m above the surrounding desert plain and with a total circumference of 9.4 km, Uluru is of great cultural significance to the traditional inhabitants of the area, the Anangu people
    Uluru (chiamato in inglese Ayers Rock) è il più imponente massiccio roccioso dell'outback australiano. Circondato dalla superficie completamente piana del bush, Uluru è visibile da decine di chilometri di distanza ed è celebre per la sua intensa colorazione rossa, che muta in maniera spettacolare (dall'ocra, all'oro, al bronzo, al viola) in funzione dell'ora del giorno e della stagione; caratteristiche che ne fanno una delle icone dell'Australia. La superficie, che da lontano appare quasi completamente liscia, rivela avvicinandosi molte sorgenti, pozze, caverne, peculiari fenomeni erosivi e antichi dipinti.
    L'Uluru si trova in Australia (Oceania) nel Territorio del Nord, nel Parco nazionale Uluru-Kata Tjuta, 450 km a sudovest della città diAlice Springs. Si tratta di un luogo sacro per gli aborigeni, formalmente riconsegnato dal governo australiano agli indigeni del luogo nel 1985.

    Uluru è il nome aborigeno originale del luogo. Si pensa derivi dalla parola ulerenye, una parola Arrernte che significa "strano". È anche un cognome comune nella zona.
    Il primo non indigeno ad avvistare la formazione fu l'esploratore Ernest Giles, nell'ottobre del 1872. Vide il massiccio da molto lontano, e non poté avvicinarsi oltre a causa del lago Amadeus. Giles descrisse l'Uluṟu come "una pietra notevole" (espressione che non fu adottata come nome, a differenza di quanto accadde alle remarkable rocks di Kangaroo Island). Il 19 luglio dell'anno successivo, William Gosse battezzò la roccia Ayers Rock in onore dell'allora Premier del Sud Australia Sir Henry Ayers.
    Nel 1993 fu istituita formalmente una doppia denominazione secondo la quale sia il nome aborigeno che quello inglese erano considerati nomi ufficiali. Il 15 dicembre 1993, Uluru fu ribattezzato Ayers Rock/Uluru e divenne la prima località con doppio nome nel Territorio del nord. Il 6 novembre del 2002, il nome duale fu ufficialmente rovesciato, diventandoUluru/Ayers Rock per richiesta dell'Associazione Regionale del Turismo di Alice Springs. Attualmente, il nome originale aborigeno è quello più utilizzato per indicare la roccia, mentre "Ayers Rock" è utilizzato solo per indicare il relativo aeroporto, il paese/resort (non è un vero e proprio paese) principale più vicino si chiama Yulara.
    Uluru è definito un monolito, ma più precisamente è una parte di una formazione rocciosa monolitica molto più grande e in gran parte sotterranea che comprende anche i Kata Tjuta e il Monte Connor. L'Uluru si staglia per circa 320 m. rispetto al territorio circostante; ha un'altitudine di 864 m s.l.m.; ha un diametro di circa 8 km, ed è caratterizzato da una superficie molto dura e pareti estremamente lisce a strapiombo.
    Caratteristica notevole del massiccio è il modo in cui esso sembra cambiare colore nelle diverse ore del giorno e nei diversi mesi dell'anno; alba e tramonto, in particolare, producono veloci variazioni di colore estremamente spettacolari (probabilmente la più grande attrazione turistica australiana). Questi effetti di colore sono dovuti a minerali come i feldspati che riflettono particolarmente la luce rossa. Il colore rosso del massiccio è dovuto all'ossidazione della componente ferrosa.
    Vicino all'estremità ovest di Uluṟu si trova la comunità aborigena di Mutitjulu (pop. ca. 300). La popolazione locale si chiamaPitjantjatjara o Anangu (che significa "gente" in lingua Pitjantjatjara). A 17 km di distanza, appena fuori dal National Park, si trova invece il paese turistico di Yulara (pop. 3000).
    Monti Kata Tjuta
    A 25 km da Uluṟu si trovano i monti Kata Tjuta, letteralmente "molte teste", che fanno parte della stessa formazione rocciosa e hanno un simile colore rosso. I Pitjantjatjara e gli Yankunytjatjara chiamano i turisti che vanno a visitare Uluru e i Kata Tjuta minga tjuta, che significa "formiche", così da descrivere l'immagine che danno dalla cima di queste formazioni.
    Monti Kata Tjuta

    giovedì 11 gennaio 2018

    La Porosità

    Elementi in materiale ceramico a elevata porosità
    La porosità di un materiale è una grandezza scalare ed è genericamente definita come il rapporto tra il volume dei vuoti (pori), Vp ed il volume totale Vm del materiale:
    \phi = \frac{V_p}{V_m}
    Da essa dipendono anche la capacità di coibentazione, la resistenza meccanica, la durabilità dei materiali; la sua valutazione è necessaria, in chimica per controllare il grado di avanzamento dei processi di sinterizzazione.
    In geologia degli idrocarburi la conoscenza della porosità viene considerata molto importante perché da questa dipende la maggior o minor capacità di immagazzinamento di idrocarburi.
    La porosità è, inoltre, un parametro fondamentale in geotecnica per la classificazione delle rocce in base alle loro caratteristiche di permeabilità per la determinazione del loro comportamento sotto carico nelle diverse condizioni di saturazione.
    La porosità influenza le velocità delle onde sismiche che attraversano le rocce, le densità delle rocce e quindi le misurazioni gravimetriche e la conducibilità elettrica di una roccia saturata con un fluido conducibile.
     Continua su Wikipedia

    mercoledì 10 gennaio 2018

    Acqua - Alcune caratteristiche Fisiche

    Diagramma di stato dell'acqua. L'acqua congela a 0 °C se si trova a pressione atmosferica, ma per pressioni maggiori il congelamento avviene a temperature più basse. 
    Temperatura di ebollizione dell'acqua a varie altitudini - Clicca sull'immagine per ingrandirla.

    La concentrazione di sale nell'acqua ne fa aumentare la densità. Nel mar Morto essa è così elevata da permettere un agevole galleggiamento dei bagnanti.

    domenica 7 gennaio 2018

    Cenere Vulcanica - Volcanic Ash - Contiene Video


    Pozzolana è il termine merceologico con cui viene indicata una piroclastite sciolta, a granulometria variabile dal limo alla sabbia, con inclusi ghiaiosi costituiti in prevalenza da pomici e in subordine da scorie vulcaniche utilizzata prevalentemente nell'industria edile.
    Le ceneri vulcaniche sono minuscole particelle di rocce e minerali aventi un diametro inferiore ai 2 mm, espulse da coni vulcanici durante le eruzioni.

    La cenere si forma durante la fase esplosiva di un'eruzione. In quel momento le rocce si frantumano ed il magma si separa in minuscole particelle. Come conseguenza del flusso magmatico, durante la fase violenta si generano anche dei vapori (eruzione freatica), mentre parte della roccia solida che circonda il cono eruttivo, a causa del grande calore, viene trasformata in particelle di argilla nelle dimensioni di granelli di sabbia.
    Il cono di cenere che spesso si vede durante un'eruzione vulcanica è principalmente composto da ceneri e vapori. L'espulsione di una grande quantità di cenere produce sia coni vulcanici sia strati che tendono a solidificarsi (vedi pozzolana) in tufo.

    Eruzione del Monte Pinatubo nel 1991
    Tali minuscole particelle possono essere trasportate dal vento per diversi chilometri, fino a formare uno strato di polveri anche a grandi distanze. Tale fenomeno viene chiamato cascata di cenere. Le tefriti sono l'insieme dei prodotti di un'eruzione una volta giunti a terra le cui dimensioni variano da pochi millimetri fino a qualche centimetro.
    La cenere vulcanica ha una composizione differente dalla cenere che si forma bruciando della legna o altro materiale combustibile. Di solito è dura, abrasiva ma soffice, non si dissolve in acqua, conduce elettricità, specialmente a secco. Durante un importante evento di cascata di cenere, il cielo appare caliginoso o giallo, e può persino oscurarsi del tutto. Tali nubi possono somigliare a nubi temporalesche: spesso sono presenti anche tuoni e fulmini e nell'aria ristagna un intenso odore di zolfo.
    L'evento più devastante che vede anche la presenza di ceneri vulcaniche è chiamato flusso piroclastico. Avviene in tutte quelle eruzioni vulcaniche in cui si crea una sorta di "valanga" di ceneri calde, gas e rocce che fluiscono ad altissima velocità lungo i fianchi del vulcano. È un flusso così veloce a cui è impossibile sfuggire. Nel 1902 la città di Saint-Pierre in Martinica fu distrutta da un flusso piroclastico che uccise più di 29.000 persone.
    Particelle di ceneri vulcaniche molto sottili possono rimanere sospese nell'atmosfera per diversi anni, propagandosi per tutto il mondo nell'alta atmosfera grazie anche ai venti in quota.
    Close view of a single ash particle from the eruption of Mount St. Helens; image is from a scanning electron microscope (SEM). The tiny voids or "holes" are called vesicles and were created by expanding gas bubbles during the eruption of magma. SEM image provided by A.M. Sarna-Wojcicki.
    Questo materiale sospeso contribuisce spesso alla formazione di spettacolari tramonti, e a particolari fenomeni ottici conosciuti come anelli del vescovo: la cenere forma una corona o una specie di alone che si può osservare attorno al sole. Le eruzioni maggiori hanno anche alterato significativamente il clima, oscurando il sole.

    Giant's Causeway - Contiene Video


    Transcript:  Rocks in the field - Giant's Causeway

    GLYNDA:
    Perhaps on first sight of this classic formation stepping as it were out of the sea, we can imagine how tempting it was to think, as did some early geologists known as Neptunists, that these rocks had a marine origin. But this is evidently not the case for the rock composing the Giant's Causeway in County Antrim, Northern Ireland -lets take a closer look and see if we can discover some of the reasons why...

    The vertical columns and horizontal cracks indicate that this could be some sort of a lava flow -the main joints have developed perpendicular to the cooling surfaces. And it may appear that the lava flow is dipping towards the left but this isn't the case. It's simply an erosion feature brought about by the sea. Contraction of the lava flow as it collected has caused these hexagonal columns to form on cooling. Further cooling and shrinkage has formed these interesting convex and concave surfaces. Some of the columns are hexagonal. Others are seven sided ,five sided, or even four sided. We call this polygonal jointing.
    We're not able to hammer here to get a fresh piece of rock because it's a protected site but there are plenty of fresh surfaces that we can look at. There's still not very much to see so we really need to look at a thin section. This shows a rock with a finely crystalline texture. The crystals are interlocking with random orientation indicating an igneous rock which cooled fairly quickly. Between crossed polars it contains small crystals of twinned plagioclase feldspar with first order interference colours, together with mafic minerals such as olivine and pyroxene though these are less obvious because they've been altered.
    Looking at the thin section confirms that this is in fact a basalt, but there are other clues that we can look for.

    Tratto da: Rocks in the field - for iPod/iPhone - iTunes U - The Open Univesity 



    giovedì 4 gennaio 2018

    Fossile Guida - Paleontologia


    Le Fusulinidae sono organismi unicellulari che, come tutti i foraminiferi, erano provviste di un guscio calcareo all'interno del quale viveva l'unica cellula di cui era formato l'organismo. Nella foto una fusulina, sezione longitudinale in luce trasmessa al microscopio ottico.
    I fossili guida sono dei fossili usati per la datazione relativa delle rocce.
    Si tratta di resti di organismi che soddisfano precisi requisiti: avevano ampia distribuzione geografica,
    una relativa ampia abbondanza di popolazioni e quindi sono facilmente rinvenibili nelle rocce sedimentate nel periodo della loro esistenza, hanno avuto un'evoluzione rapida: hanno quindi una durata temporale molto limitata e permettono di raggiungere un'elevata precisione nella datazione.
    Conodonti - Nome dato da C.I. Pander (1856) a microscopici elementi problematici (dimensioni da 0,1 a 3,0 mm ca.) del Paleozoico dell’Estonia; sono stati ritrovati in numerose regioni in terreni di età che va dal Cambriano medio al Triassico. Hanno forme di denticoli semplici o composti, sono traslucidi od opachi; la struttura è lamellare, sono costituiti da carbonato e fosfato di calcio. Si è stabilita una classificazione convenzionale che utilizza per la stratigrafia la loro qualità di ‘fossili guida’.
    Tra i fossili guida più conosciuti vi sono:
    • Per il Paleozoico (542-251 milioni di anni fa): Trilobiti, Graptoliti, Ammoniti primitivi (Ammonoidei) e microfossili (Conodonti e Fusulinidi);
    • Per il Mesozoico (251 - 65,5 milioni di anni fa): Ammoniti (Ceratitidi e Ammonitidi, come ad esempio Arietites) ed altri fossili microscopici (per es. Foraminiferi bentonici e planctonici per la datazione all'interno del Cretaceo, Tintinnidi);
    • Per il Cenozoico (65,5 milioni di anni fa - oggi): microfossili, soprattutto foraminiferi planctonici e bentonici (nummuliti) e nannofossili calcarei.
    I biostratigrafi utilizzano questi fossili, prevalentemente marini, per datare le rocce sedimentarie.
    I graptoliti, tra cui i Monograptus, sono fossili guida (organismi acquatici che hanno avuto un'ampia distribuzione geografica) del Paleozoico (570-225 milioni di anni fa). Sono molto comuni come fossili e si trovano spesso associati a sedimenti depostisi in fondali marini.
    Sono stati a lungo considerati solo resti organici e riconosciuti come veri e propri organismi animali nel 1821. Il loro nome ("scrittura di pietra") deriva dalla loro particolare forma, simile a una scrittura cuneiforme. I graptoliti sono un gruppo estinto di organismi marini coloniali, con esoscheletro chitinoso, vissuti dal Cambriano al Carbonifero. Gli animali (zooidi) avevano corpo molle, vermiforme, e alloggiavano in teche disposte su 1-2 file lungo i rami della colonia (rabdosomi). Dalle teche partiva un filamento (virgula) col quale l'organismo si fissava a un galleggiante (pneumatoforo).
    Le colonie di Monograptus avevano un solo ramo che poteva assumere forme diverse (rettilinea, ricurva, spiralata) di grande importanza per la classificazione delle specie.
    I Trilobiti sono artropodi di ambiente marino esclusivi dell'era Paleozoica, costituiscono la classe Trilobita.
    I tintinnidi sono un ordine di protisti caratterizzati dalla presenza di macro e micronuclei e di una capsula gelatinosa, la lorica, con struttura alveolare, contenente concrezioni estranee. La lorica lunga da 50 μ-1 mm, è distinta in una parte orale superiore e una parte aborale inferiore, spesso fornita di appendice caudale. Presso l'apertura orale si può trovare un collare rivolto verso l'esterno o l'interno. Abbondantemente rappresentati nel plancton di tutti i mari sia in vicinanza delle coste sia in mare aperto. Tra i generi più noti vi sono Calpionella, Calpionellites, Tintinnopsella e Amphorellina.
    I primi resti di Tintinnidi, descritti in sezione sottile, risalgono all'Ordoviciano inferiore, ma la loro grande esplosione avviene nella Tetide durante il Giurassico superiore e Cretaceo inferiore (facies a Calpionella).
    Plate 1. Late Tithonian–late Berriasian calpionellids, Southern Carpathians. Light microscope, parallel nicols, scale bare = 50 μm. Plate 1.1, Calpionella elliptica Cadisch, 1932, sample C3L; Plate 1.2, Crassicollaria intermedia (Durand-Delga, 1957), sample C1L; Plate 1.3, Calpionella alpina Lorentz, 1902, sample C3L; Plate 1.4, Lorenziella plicata Le Hégarat and Remane, 1968, sample C5L; Plate 1.5, Remaniella filipescui (Catalano, 1965), sample C5L; Plate 1.6, Calpionellopsis simplex (Colom, 1939), sample C5L; Plate 1.7, Calpionellopsis oblonga (Cadisch, 1932), sample C5L; Plate 1.8, Tintinnopsella carpathica (Murgeanu and Filipescu, 1933), sample C6L; Plate 1.9, Tintinnopsella longa (Colom 1939), sample C5L.Late Valanginian–early Huterivian calcareous nannofossils. Plate 1.10–1.15, Scanning electronic microscope; Plate 1.16–1.18, Light polarizing microscope, crossed nicols, scale bare = 1 μm. Plate 1.10, Micrantholithus obtusus Stradner, 1963; section AF3, sample N7. Plate 1.11, Watznaueria barnesae (Black in Black and Barnes, 1959) Perch-Nielsen, 1968; section AF2, sample N24. Plate 1.12, Nannoconus sp., section AF2, sample N30. Plate 1.13, Diazomatolithus lehmanii Noël, 1965; section AF3, sample N20. Plate 1.14, Zeugrhabdotus erectus (Deflandre in Deflandre and Fert, 1954) Reinhardt, 1965; 1959; section AF3, sample N13. Plate 1.15, Biscutum constans (Görka, 1957) Black in Black and Barnes, 1959; section AF2, sample N30. Plate 1.16, Calcicalathina oblongata (Worsley, 1971) Thierstein, 1971; section AF3, sample N3. Plate 1.17, Braarudosphaera regularis Black, 1973; section AF3, sample N15. Plate 1.18, Micrantholithus hoschulzii (Reinhardt, 1966) Thierstein, 1971; section AF3, sample N7.

    martedì 2 gennaio 2018

    Modulo di Poisson


    Il modulo di Poisson (indicato anche come coefficiente di Poisson, coefficiente di contrazione trasversale o rapporto di Poisson) è una caratteristica propria di ciascun materiale (dipendente dalla temperatura) che misura, in presenza di una sollecitazione monodirezionale longitudinale, il grado in cui il campione di materiale si restringe o si dilata trasversalmente.
    È definito come:

    dove ν è il modulo di Poisson,  è la deformazione trasversale,  è la deformazione longitudinale.
    Il modulo di Poisson è un coefficiente adimensionale, con l'attenzione di osservare che tale relazione vale solo in uno stato di sollecitazione monodirezionale. In stati tensionali più complessi tale relazione non è più verificata ed il modulo di Poisson non coincide più con tale rapporto.
    Il modulo di Poisson è correlato al modulo di elasticità ed al modulo di taglio dalla seguente relazione:

    Valori limite per il modulo di Poisson ν
    I valori del modulo di Poisson per materiali reperibili in natura sono compresi tra 0 e 0,5; il valore massimo corrisponde ad un materiale virtualmente incomprimibile (la gomma, ad esempio, ha valori prossimi a 0,5), mentre il valore minimo corrisponde ad un materiale con modulo di taglio tendente ad infinito.
    Esiste tuttavia una famiglia di materiali, chiamati auxetici (per esempio il Gore-Tex), per i quali il modulo di Poisson può essere negativo: questo comporta, a seguito di una prova di trazione monoassiale, la presenza di deformazioni estensionali normali all'asse di sollecitazione di carattere positivo (ovvero un'estensione del materiale in direzione ortogonale a quella di sollecitazione), visto il legame che intercorre tra sforzi normali applicati e deformazioni normali conseguenti dettato dalla legge di Hooke (espressa in forma tensoriale) per materiali omogenei e isotropi.
    Il campo di valori che compete al coefficiente di Poisson ν, dunque, risulta essere variabile tra −1 e 0,5:
    materialemodulo di Poisson
    gomma~ 0,50
    oro0,42
    argilla satura0,40-0,50
    magnesio0,35
    titanio0,34
    rame0,33
    lega d'alluminio0,33
    argilla0,30-0,45
    acciaio inossidabile0,30-0,31
    acciaio0,27-0,30
    ghisa0,21-0,26
    sabbia0,20-0,45
    cemento0,20
    vetro0,18-0,30
    schiuma0,10-0,40
    sughero~ 0,00
    materiali auxetici< 0

    Post più visti negli ultimi 7 giorni.

    Post più visti in assoluto