
Uragano Jeanne settembre 2004
Le tempeste oceaniche, da quelle di
minor potenza sino ai potenti uragani tropicali i cui venti ululano
letteralmente come lupi in una bufera di neve, flagellano durante tutto
l’anno le distese marine e terrestri del nostro pianeta. Sia che ci si
trovi nell’emisfero boreale (Nord America, Europa e Asia), sia in quello
australe (Sudamerica, Africa del sud e Oceania), si generano
continuamente aree di bassa pressione, sia estive che invernali, i cui
forti venti rendono il mare un nemico insormontabile e le montagne dei
luoghi inospitali per la vita dell’Homo sapiens. Il nostro
pianeta ha una storia geologica vecchia di quattro miliardi e mezzo di
anni. Come facilmente dedurrete è scientificamente impossibile decifrare
ogni singolo evento ciclonico che ha colpito il nostro pianeta; di
fatto le tempeste e gli tsunami hanno lasciato e lasciano segni
indelebili nelle rocce oltre che nei nostri animi. Gli scienziati,
soprattutto a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, hanno
effettuato studi di sedimentologia delle zone costiere. Questi studi
hanno riguardato sia gli arcipelaghi corallini sia strutture geologiche
di epoche passate, come le rocce carbonatiche che sono riconducibili a
fasce tidali di paleo barriere coralline e paleo lagune tropicali. Da
geologo, mi piace ricordare che la scuola italiana di sedimentologia
delle rocce carbonatiche vanta un certo prestigio in ambito mondiale,
competendo magistralmente con la scuola olandese, americana, giapponese e
australiana.

Ma
torniamo a noi: le tempeste, specialmente quelle più potenti come i
cicloni, vengono letteralmente raccolte in specifici depositi
sedimentari. Un po’ come i modellini di nave intrappolati nelle
bottiglie; questi segni rimarranno lì per migliaia, talvolta milioni di
anni. In particolare, le onde causate dai maremoti, come gli tsunami
(dal giapponese onda di porto), possono lasciare segni molto evidenti
nei depositi rocciosi antichi e sabbiosi costieri moderni. Questi resti
vengono chiamati tsunamiti.
Talvolta i sedimentologi si trovano a
dover differenziare minuti strati sabbiosi, di poche decine di
centimetri, lasciati sia dagli tsunami sia dalle tempeste tropicali; non
è affatto facile farlo, specialmente in campo, ma ciò è molto
importante per poter interpretare correttamente la frequenza di questi
due fenomeni in una certa area. Questo può essere un’ottima chiave di
lettura per lo studio del presente e, forse, per eventuali eventi
futuri. Negli ultimi trentanni autorevoli geologi italiani, americani e
giapponesi, cooperando in campo, hanno studiato molte aree del pianeta
dove esiste una certa frequenza di questi depositi sabbiosi. In
particolare sono state ampiamente studiate zone come i Caraibi,
specialmente Puerto Rico e le Bahamas in particolare, dove sono ben
riconoscibili strati di tempestiti riguardanti uragani, a partire da
cinquecentomila anni fa (Pleistocene medio superiore), sino ai recenti
uragani degli anni sessanta. Nello specifico, sull’isola di Caicos
(Bahamas) è stato studiato un deposito sabbioso, intervallato da strati
di 30 centimetri costituiti da deposizione algale coralligena, in cui si
identificano delle tempestiti riconducibili agli uragani Donna (agosto
1960), l’uragano Betsy (agosto 1965) e l’uragano Kate (novembre 1985).
Anche l’uragano Carla, del settembre 1961 lasciò ampi depositi in varie
zone del Golfo del Messico. In ultimo l’uragano Isabel, del settembre
2003, lasciò importanti testimonianze geologiche, in particolare per la
struttura del deposito sabbioso e per le molto ben conservate
caratteristiche granulometriche.
Una curiosità: Durante la
Seconda Guerra Mondiale, agli Uragani vennero dati nomi femminili,
principalmente per la comodità dei meteorologi. Per evitare critiche di
sessismo, dal 1978, si utilizzano nomi anche maschili.
La credenza che molti dei cicloni più violenti avessero nomi femminili e’ quindi legata solo all’uso precedente. attualmente i nomi sono predisposti per aree geografiche (atlantiche, pacifiche etc.) . Ad esempio per l’Atlantico:
La credenza che molti dei cicloni più violenti avessero nomi femminili e’ quindi legata solo all’uso precedente. attualmente i nomi sono predisposti per aree geografiche (atlantiche, pacifiche etc.) . Ad esempio per l’Atlantico:
2015 | Ana | Bill | Claudette | Danny | Erika | Fred | Grace | Henri | Ida | Joaquin | Kate |
Larry | Mindy | Nicholas | Odette | Peter | Rose | Sam | Teresa | Victor | Wanda | ||
2016 | Alex | Bonnie | Colin | Danielle | Earl | Fiona | Gaston | Hermine | Ian | Julia | Karl |
Lisa | Matthew | Nicole | Otto | Paula | Richard | Shary | Tobias | Virginie | Walter | ||
2017 | Arlene | Bret | Cindy | Don | Emily | Franklin | Gert | Harvey | Irma | Jose | Katia |
Lee | Maria | Nate | Ophelia | Philippe | Rina | Sean | Tammy | Vince | Whitney | ||
2018 | Alberto | Beryl | Chris | Debby | Ernesto | Florence | Gordon | Helene | Isaac | Joyce | Kirk |
Leslie | Michael | Nadine | Oscar | Patty | Rafael | Sara | Tony | Valerie | William | ||
2019 | Andrea | Barry | Chantal | Dorian | Erin | Fernand | Gabrielle | Humberto | Imelda | Jerry | Karen |
Lorenzo | Melissa | Nestor | Olga | Pablo | Rebekah | Sebastien | Tanya | Van | Wendy | ||
2020 | Arthur | Bertha | Cristobal | Dolly | Edouard | Fay | Gonzalo | Hanna | Isaias | Josephine | Kyle |
Laura | Marco | Nana | Omar | Paulette | Rene | Sally | Teddy | Vicky | Wilfred |
Altre aree dove è stato possibile
ricostruire modelli di questi fenomeni sono il Perù, specialmente per le
tsunamiti, la grande isola di Papua, il Marocco, lo stato dell’Alberta
(Canada) e la Nuova Zelanda dove, nell’isola del Sud (versante
orientale), un recente studio americano-neozelandese ha messo in luce un
deposito di tsunamiti riconducibile a un potente terremoto, cui seguì
un’onda di tsunami di proporzioni enormi; i geologi datano l’evento agli
inizi del 1900. Inoltre, sono ancora in corso studi sedimentologici sia
per il grande maremoto dell’Indonesia (dicembre 2004) sia per l’uragano
Katrina dell’agosto 2005.
Comparazione Tempestiti alle Bahamas
Sia le tempestiti che le tsunamiti di
epoca recente, in particolare dal Pleistocene ad oggi ( Olocene), si
presentano con spessori variabili dai venti ai quaranta centimetri al
massimo. L’estensione areale di entrambi i depositi è decisamente alta,
raggiungendo parecchi chilometri quadrati di costa. In alcuni casi, come
in Indonesia (2004), alcuni atolli sono stati completamente sommersi da
questi depositi, cancellando ogni forma di vita. Le granulometrie, per
entrambi i depositi, sono variabili dal letto al tetto della sequenza
sabbiosa; normalmente si hanno clasti di maggiori dimensioni in basso
che evolvono verso l’alto a granulometrie di sabbia fine. La presenza di
resti organici, in particolare arborei e vegetali, viene spesso
attribuita a tsunami, ma molti geologi non concordano con questa teoria,
elaborata da alcuni americani. Da non dimenticare l’orientazione di
questi resti: il ramoscello infatti, si orienta in base alla corrente
principale, come nelle icniti (impronte rocciose) dei depositi fluviali:
il meccanismo fisico è esattamente lo stesso. Le tempestiti, al
contrario delle tsunamiti, non sembrano essere molto estese
nell’entroterra; inoltre presentano variazioni granulometriche minori,
addirittura alcuni depositi si presentano con un certo grado di
laminazione (meno di 1 centimetro). Queste lamine, nello specifico di
analisi al microscopio, sembrano essere costituite prevalentemente da
film algale che intrappola letteralmente, come una carta moschicida, il
sedimento.
Hummocky Cross Stratification (HCS)
Tempestite, dal Nepal
Ma la tempestite, stricto sensu, raggiunge la sua massima deposizione volumetrica di sedimento quando le onde di tempesta sono in fase calante. Le tsunamiti, al contrario, si distinguono grazie a superfici erosive alla base della HCS, che e’ comune, in definitiva, ad entrambe le tipologie di rocce. Come si evince queste analisi sono relativamente semplici da eseguire su depositi moderni, ma sono molto difficili per depositi antichi, di stampo prettamente roccioso. Talvolta si può giungere alla soluzione dell’enigma aprendo lo sguardo alle formazioni rocciose in un più largo areale, studiando fenomeni tettonici (faglie e sequenze di subsidenza) collegati a terremoti passati, che possono far attribuire il deposito in studio a una tsunamite piuttosto che a una tempestite. A ciò va naturalmente allegato un attento studio dei fossili e dei microfossili, nonché attente analisi sui pollini e sui paleosuoli della zona (altri indicatori importanti). Ma bisogna essere scientificamente accorti a non commettere errori grossolani.
Come sempre per tutti i miei articoli rimando a testi scientificamente più competenti e completi, in particolare consiglio volumi di sedimentologia, stratigrafia e interpretazione di facies. L’argomento è molto complesso e va studiato in concerto con analisi dei depositi costieri, coralligeni e tidali.
Articolo originale di Aaronne Colagrossi. http://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/4847